Africa Arte e Architettura

Stefano Bucci, La Lettura – Corriere della Sera, 31 January 2021
Una volta esisteva solo nelle rivisitazioni di interpreti occidentali (Braque, i cubisti); poi le è stato chiesto di essere folclore e colore… Oggi l’arte africana è autonoma, autosufficiente e meravigliosamente contemporanea. Guardate qui.
 
Residenze
Sempre a Venezia, la galleria Akka Project, specializzata in arte africana contemporanea, fondata nel 2019 da Lidija Kostic Khachatourian (in parallelo con un altro project space con sede a Dubai) si propone di esportare l’arte africana al di fuori della propria sfera di origine «per farla conoscere altrove — spiega la curatrice — ma anche per arricchirla di nuovi stimoli, resi possibili solo dal contatto con diversi contesti socioculturali». Non a caso, la galleria (che aveva sovvenzionato anche il padiglione del Mozambico alla Biennale 2019) promuove soprattutto artisti africani emergenti (e spesso autodidatti — un altro elemento tipico), ai quali offre anche residenze e finanziamenti per i progetti più interessanti. Al momento online è visitabile la mostra del keniano Jimmy Kitheka (1993), che si definisce «un impressionista», mentre a Dubai è in corso la monografica dedicata al mozambicano Gonçalo Mabunda (1975), già conosciuto per le sculture (maschere, troni) create utilizzando materiali bellici smantellati (proiettili, pezzi di fucili e mitragliatrici), usati nella lunga guerra civile che dal 1975 al 1991 ha insanguinato il suo Paese.
 
 
Simboli
«Il mio lavoro — spiega a “la Lettura” Charles Nwaneri Kelechi, artista autodidatta nato nel 1995 a Lagos in Nigeria che ha appena concluso una residenza a Venezia nell’ambito dell’Akka Project — nasce dal desiderio di suscitare conversazioni su temi che riguardano i valori sociali, la storia, la salute mentale e l’interazione subconscia tra l’uomo e il suo ambiente. Una delle caratteristiche principali del mio lavoro è quella che io chiamo la figura ibrida ispirata all’idea di cicatrici, segni tribali e simboli che arrivano dalla mia cultura». Ispirato da black-artist come il britannico Kelvin Okafor(1985), i nigeriani Arinze Stanleye (1983) e Ken Nwadiogbu (1984), Kelechi si colloca tra fotorealismo, surrealismo, postmodernismo sul confine di quello che lui chiama surrealismo contemporaneo, un surrealismo che utilizza la più classica iconografia africana e riesce a confrontarsi anche con una «cristianissima» Pietà.